La nostra spiritualità

1. Gesù, Verbo Incarnato e Redentore

Il riferimento primo della Comunità è la persona di Gesù , “Verbo di Dio Incarnato e Redentore” che è la più alta dimostrazione per cui Dio si fa simile a noi, in tutto, fuori che nel peccato, per farci simili a Lui; si confonde con la storia umana, nella sofferenza dell’abbassamento, dell’umiliazione e della morte per ricapitolare, in gloria, tutto nella sua glorificazione. Guardando a Lui, le Missionarie laiche rispondono con il dono della loro vita all’immenso dono del Padre facendo della loro esistenza redenta una “ricchezza comune a cui tutti possono attingere”. (dalla Regola della Comunità)

 

“ Il fondamento è la singolare percezione di essere chiamati dal di dentro a vivere, con totalità di dono, un amore. Non si sa subito come, dove. Si sa che qualcuno ci chiama, inequivocabilmente a seguirlo. Se la nostra risposta è un “sì” pieno, una consegna di tutto l’essere alla sua volontà, allora non resta che farsi della persona di Gesù Cristo che chiama, una persona che veramente decide del nostro destino e del nostro valore. E si diviene discepoli.Poi vengono i segni precisi, luminosi, che indicano il modo e lo spazio dove questa avventura deve fiorire ed esprimersi” (L. Minocchi, Diventare “uno” , p. 21)“ L’incarnazione è un mistero d’amore aperto al mistero definitivo dell’esperienza di Gesù e cioè alla morte e alla resurrezione. E’ orientato al mistero della Pasqua. Per questa ragione la nostra è un’esperienza di fatica, di sacrificio, di umanità sofferta, di buio, di lotta (….) Non si diventa poveri se non si impara a morire. Tutto questo ha però un carattere di luce, perché è appoggiato definitivamente alla realtà della resurrezione” (L. Minocchi, Diventare “uno”, p. 23)

2. Insieme

Dio si è rivelato a noi in Gesù Cristo: per fare splendere la sua immagine, bisogna essere segno della presenza di Gesù sulle strade della terra. Il “segno” è una comunità di persone che lo hanno incontrato e vivono in comunione. Credere all’amore è tentare di essere questo segno in una concreta comunità dove ciascuno è se stesso per l’altro e tutti insieme si diventa segno per il mondo. Una comunità, dove, liberi e poveri, si sperimenta che non c’è libertà più bella di chi si incontra con gli altri per lo splendore comune.

 “Così è stato per noi. Vincolate dal comune amore di  Gesù, nell’aria incandescente del Concilio Vaticano II, decidemmo di “fare famiglia” per vedere se dentro questo mondo poteva risplendere il più possibile l’immagine dell’Amore che è l’immagine di Dio. Là dove non risplende l’immagine dell’amore non c’è nulla che valga, nulla neanche il culto religioso. Tutto il dettato della Bibbia si concentra qui. (L. Minocchi, Diventare “uno”, p. 21)“ Ci vuole molto amore, in una comunità che deve servire per l’ amore, e l’ amore si dimostra convivendo e convivendo nel senso del Vangelo. Soltanto in una convivenza vera l’amore ha una sua fisionomia vera e non falsa, non è più una favola, perché dove non c’è vera convivenza l’ amore predicato e conclamato è una favola. Perciò la comunità è un dono e insieme una prova. (…) La comunità mette alla prova il limite di ognuno, ma proprio per questo, portando il peso l’uno dell’altro, nella correzione fraterna, nel sostegno reciproco, nel fare verità con ferma dolcezza e infondendo fiducia, si forma una persona che, piano piano, diventa se stessa fino a raggiungere quella pienezza che la rende credibile al mondo al quale è mandata e lode della meraviglia delle opere di Dio” ( L. Minocchi, Diventare “uno”, p.33)

3.“Essere” prima di “fare”

Non è una espressione filosofica, è la strada che la Comunità percorre ogni giorno nel dipanarsi della vita. “ La misura essenziale di testimonianza della CdG è la “spiritualità dell’essere”, perché prima di ogni impresa e di ogni azione le Missionarie trasportino, di ambiente in ambiente, il loro “essere” secondo Cristo, sicché la Comunità sia nella stessa persona e nella vita comune delle sue componenti rivelazione luminosa e credibile della riconciliazione di amore e di pace operata dal verbo Incarnato e Redentore, un Vangelo vissuto per annunciare, con fecondità, un “Vangelo da viversi “ (dalla Regola della Comunità di Gesù )

“ L’umanità è stata tanto disillusa e tradita dai discorsi degli uomini che il modo migliore per essere accettati è quello di proporsi con sobrietà, senza clamore, entrando con tratto di delicatezza e umanissimo nella realtà per dire al mondo: “Cristo è venuto”. E questo non lo dimostra soprattutto quello che facciamo (…), lo dimostra quello che tentiamo di essere con la nostra anima e con il nostro corpo, con la nostra interiorità e i nostri rapporti umani; un segno d’arcobaleno in un’umanità che cerca spasmodicamente – quanto non sa o non appare – questo segno d’ amore, un crocevia della carità e della misericordia per dire quanto Dio ci abbia amati e ci ama e servire gli altri con uno stile di vita che renda più desiderabile e amabile la presenza cristiana nel mondo.L’essere che diventa esempio prima del fare, lo spirito di amicizia e di accoglienza, la gioia di essere amati, l’umanità e la comprensione unite alla forza di una vita teologale e alla fede in un ideale di totalità, possono fare della Comunità di Gesù una presenza evangelica ed ecclesiale che sia, dovunque, pacificatrice e sollecitante la giustizia e l’amore. Ovunque, perché essendo laici dobbiamo essere protesi ad ogni ambiente senza muri di divisione né limiti di relazione. Sì, una città senza mura” ( L. Minocchi,  Diventare “uno”, p.37 )

4. Nella Chiesa per l’uomo

In Cristo, inseriti nella grande comunità che è la sua Chiesa, vogliamo camminare insieme, con l’anima di chi ne scopre la novità ogni giorno. Presenti nella comunità viva della Chiesa locale lavoriamo per collaborare, secondo il dono ricevuto, alla promozione delle sue varie realtà e per contribuire alla sua crescita nello spirito della riconciliazione e della pace.

“Fra i motivi del nostro stare insieme, quello di rendere visibile la “comunione ecclesiale” è stato per noi un punto centrale. Volevamo vivere nel cuore della chiesa e non ai margini. (…) Una scelta precisa, da viversi con maturo senso di responsabilità e con un amore fedele. Un amore all’erta, direi vigilante, perché, peccatori suscettibili come siamo, si può sempre essere tentati di distogliere lo sguardo dal suo volto”.“E’ in questa specie d’amore che della chiesa facciamo nostri i programmi, le ferite, le rughe, le gioie. Noi stiamo dentro senza presumere, coscienti che la fedeltà al disegno di salvezza chiede un amore capace di portare molte prove, molte oscurità, molti non sensi. Oserei dire molte morti. Stiamo dentro con l’anima dei pellegrini di Dio, che l’amore porta ovunque e lungo la strada gemono e cantano. (L. Minocchi, Diventare “uno”,p. 39 sgg.)

5. Da laici

Dal Concilio Vaticano II  abbiamo  avuto luce per comprendere più profondamente la nostra modalità di seguire nel mondo le orme di Gesù Cristo: da laici, cioè, per confonderci con gli uomini, calati nelle realtà del mondo per ascoltarne e viverne la storia, i drammi, le gioie, le angosce, le speranze.

“ Le Missionarie laiche devono amare e vivere la loro laicità e secolarità per trasformare il mondo” quasi dal di dentro, “intimamente solidali, insieme a tutta la Chiesa, con il genere umano e la sua storia, con spirito chiaramente cristiano, ma contemporaneamente aperto a tutto ciò che è genuinamente umano” (dalla Regola della Comunità di Gesù)

“ Bisogna rimanere tra gli uomini per non allontanarsi da Cristo, bisogna rimanere in Cristo per non allontanarsi dagli uomini, dalla loro sete di verità, di giustizia, di pace” (L. Minocchi, Diventare “uno”, p. 207)“Così è per noi che siamo stati ispirati, come vergini a restare laici nella chiesa per l’ uomo, a operare come tali nel popolo di Dio, ad aprire una comunità di laici: una realtà storica nella realtà della chiesa e una novità per aumentare, della chiesa, la bellezza, tanto più grande quanto più è misteriosa varietà dei doni che Dio le dà” (L. Minocchi, Diventare “uno”, p. 208)“Così sottomessi all’obbedienza di Dio e del suo pastore, ci siamo poste a servizio della chiesa locale per promuovere la laicità nella comunità e nell’ apostolato. Una scelta precisa, per cui si rendeva necessario bandire dal nostro stile di vita ogni clericalismo per dare continuamente, la testimonianza di essere laici, con tutto il peso di questa particolare posizione nella chiesa e quindi con tutta la capacità di vivere dal di dentro del mondo” (L. Minocchi, Diventare “uno”, p. 42).“Per questo privilegiamo, nel nostro annunzio della buona novella, il rapporto con tutti, che non è soltanto un rapporto di mediazione, come uno che sta più su si piega verso l’altro che sta più giù, in una specie di pontificato della salvezza, ma è una compromissione con l’ uomo, con tutto l’ uomo, con la sua storia più banale e con i suoi bisogni più banali. Non potremmo dire di essere “per tutti” se non sentissimo la partecipazione alla vita e al mistero di tutto l’uomo, alla sua storia umana, alle sue realtà terrestri, alle sue ingiustizie terrene (L. Minocchi, Diventare “uno”, p. 48 sgg)

6. Nel grande cammino dell’ unità

Ecumenici oltre le frontiere, cerchiamo con fedeltà il dialogo con i fratelli, per la crescita di tutti al di là di ogni differenza religiosa di cultura e di pensiero, per incontrarsi nel grande cammino dell’unità dei credenti in Cristo e di tutta l’umanità.

“…il primo ecumenismo è da attuarsi dentro la nostra comunità per non messere spettacolo al mondo delle nostre divisioni interne, dei nostri orgogli, dei nostri personali poteri. E poi evitare, come comunità, ogni lotta al primato. Attenti, cioè, a non difendere la propria terra recintandola perché non l’oltre passi l’invasore. “cattolici” nel senso universale del termine, quindi ecumenici, dobbiamo esserlo nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità ecclesiali, prima di muoverci con passo discreto, di riconciliazione, di pace, di condivisione di beni materiali e spirituali, verso i fratelli delle altre confessioni e delle altre religioni.” (L. Minocchi, Diventare “uno”, p. 88)

7. Annunciare il regno

Testimoniare ed annunciare il dono dell’amore di Dio rivelato in Gesù.

La condizione dei poveri e degli ultimi è stata la scelta del Figlio di Dio per trasformare dal di dentro le povertà dell’uomo

Farsi come “poveri”  è richiesto a chi si decide per Cristo, perché nella sua povertà risplenda la grandezza dell’amore di Dio.

La Comunità si apre così alla missione e alla testimonianza nelle situazioni più difficili ed emarginate, anche nelle terre più lontane e provate dall’ingiustizia.

“ … ci poniamo a servizio delle molte povertà di oggi, avendo presente che c’è una povertà che tutti ci accomuna, ricchi e poveri, affaticati e oppressi, ed è la povertà delle povertà: un vuoto di dio, del messaggio della sua parola, dell’esperienza della sua misericordia, un vuoto di senso per cui la vita risulta senza senso. Un vuoto del “già” e “non ancora” del regno, per cui vale l’ attimo fuggevole, quando vale, e il futuro della promessa è senza speranza; un vuoto d’ amore, di gentilezza e di gioia, che dà luogo alle tristezze e alle angosce del cuore dell’ uomo, alle inimicizie e agli odi dei cuori induriti. Dà luogo alla morte.A vincere questa specifica povertà noi dedichiamo la vita. Per questo siamo una comunità di evangelizzazione, che mentre cerca di aprire le vie alla fede dove non c’ è più fede, portare la speranza dove non c’è più speranza e la carità dove non c’è più carità, si lascia evangelizzare, convertire dai poveri e dagli ultimi di questo mondo. “(L. Minocchi, Diventare “uno”, p. 110 )

8. Contemplazione sulle strade

Un Amore al centro della vita di una persona, un Amore al centro della vita di una Comunità, ha la sua sorgente e il suo respiro in uno spazio che si chiama “preghiera”.

Una preghiera che si fonda sulla Parola e sull’Eucaristia celebrata con tutta la Chiesa

– che si fa continuo ascolto della voce dell’uomo nei fatti della vita e abbraccia tutta la realtà che ci circonda

– nel silenzio che cerca Dio e impara le tappe della conoscenza del suo mistero per lasciarsi afferrare da Lui e scoprire le sue vie

– sulle strade, vivendo come Gesù accanto a tutti ed imparando da Lui ad assumere i fardelli del nostro prossimo, ogni luogo diventa la nostra casa e il tempio della nostra contemplazione.

L’orazione che nasce dall’ ascolto e dalla riflessione sulla parola, dalla grazia redentrice dei sacramenti, sorretta e vivificata dalla grande preghiera di tutta la chiesa, non può non essere un’orazione di comunione … Allora il nostro pregare deve trovare il linguaggio dell’amicizia con Dio e dell’amicizia con gli uomini, deve essere il risultato di un “vissuto” nell’amicizia perché solo “nell’amicizia e nell’amore, il ‘noi’ della comunione può avere l’ampiezza dell’ intero universo, tutto può trasfigurare e rinnovare”. Ecco perché dobbiamo essere in stato di grazia per pregare bene, intendendo per “grazia” quell’armonia con Dio e con gli altri che soltanto un cuore  riconciliato e quindi capace di incontri amicali può sperimentare … Attingere la preghiera dalla vita e portare la preghiera nella vita. Una preghiera che permea la fatica, perché non può non durare fatica chi alza un peso, e l’umanità è un peso, ma un peso leggero, dato che lo portiamo con le ali di Dio. Una preghiera creatrice, perché ci vuole creatività per raggiungere l’uomo, per capire l’uomo di oggi, per trovare il modo di amarlo, per essere per lui messaggeri del vangelo” (L. Minocchi, Diventare “uno”, pp. 160, 161, 171 )

9. Sposi e vergini: voci diverse nell’unico amore

Coloro che servono il Signore nel dono totale di sé a Lui e coloro che servono il Signore nel matrimonio, consegnandosi l’uno all’ altro per lui, mostrano insieme, nella loro diversità, l’unico e unificante amore di Dio

– i vergini sono chiamati a vivere un amore che è annuncio costante della pienezza del Regno, quando “Dio sarà tutto in tutti”

– gli sposi a sperimentare una unione che manifesta quanto c’è Dio dentro il loro amore e come Dio, passando da questo amore, si rivela e si comunica  al mondo

La Comunità come segno della misericordia di Dio, che continuamente riconcilia e ricompone in unità, condivide la propria missione con gli sposi ad essa uniti nell’ amicizia e nel servizio

Se noi vergini indichiamo a voi sposi lì oltre della vita, vi aiutiamo a fare eterna una storia, la storia del vostro amore, a tenervi allacciati guardando avanti e in alto. E voi, mostrandoci come si vive l’ amore vicendevole, ci aiutate perché non si diventi delle persone “sistemate” nelle nostre presunte virtù e perfezioni, incapaci di amare. Ci aiutate a diventare uomini e donne veri, ché di questi ha bisogno il mondo quando cerca un cristiano. Insieme ci aiutiamo ad aprire le nostre vite le nostre vite sui drammi di tante coppie, sulla desolazione di tanti rapporti che stanno per spezzarsi o sono già spezzati; ad andare incontro a chi aspetta di conoscere l’amore di Dio attraverso il nostro amore. Si aiuta la chiesa a essere vero segno di comunione, a essere pienamente se stessa. Ognuno di noi una conchiglia dell’immensa spiaggia di Dio, che le onde trascinano in quell’oceano senza sponde che è il suo amore, contribuendo, per la particella che ci spetta – perché l’operazione in primis è di Dio – a rifare unità. L’unità di tutti gli uomini, di tutte le cose, in lui. E’ la folle avventura di essere cristiani che noi, nell’ottica di questa visione unitaria, vogliamo sperimentare nel mondo vivendo la spiritualità che ci è propria, quella dell’incarnazione, sulla quale s’ impernia il nostro essere e il nostro agire (L. Minocchi, Diventare “uno”, p. 202 )


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