La spiritualità di Monsignor Agresti

La spiritualità di Monsignor Agresti     

                        ( di Leda Minocchi  in “ Santa Gemma e il suo santuario”, Lucca – novembre 1990 )

Nel breve spazio di un articolo non è facile delineare la spiritualità di un uomo di Dio come Mons. Giuliano Agresti, il “più“ conosciuto della sua singolare ricchezza interiore e, nel mistero di ogni persona, il molto sconosciuto, che ci sarà rivelato solo in cielo. Anche perché era uomo del silenzio, schivo nel manifestarsi, decentrato da se stesso, “ povero “, nella accezione più alta del termine, di quella difficile ed evangelica povertà di sé che Gesù indica con le parole: “ chi avrà perduto la sua vita, per causa mia, la troverà “.

Ma tenterò di cantare, per la grazia senza fine di averlo avuto come Padre, quello che, in tanti anni, mi è stato dato di capire della sua statura d’ anima. Una fede abramitica ha scandito le tappe della sua esistenza e quando dico “ esistenza“ ne dico il senso profondo che tutta la illumina e che ha orientato, in un vissuto fedele e coerente, il suo vivace pensiero, il suo grande cuore, le sue opere.

Su questa roccia della fede, motivo dominante della sua sinfonia vitale, si aprono i vasti orizzonti della sua spiritualità. Una spiritualità incentrata nella persona e nell’ opera di Gesù Cristo e, segnatamente, nel mistero dell’ Incarnazione redentrice come preparazione al mistero della Pasqua, intorno ai quali misteri si snoda tutta la sua teologia e il suo stare in costante ascolto dell’ uomo. L’ uomo, il suo valore, il suo destino lo hanno tenuto impegnato per tutta la vita.

Aveva capito che non c’ è altra maturità dell’ uomo che la composizione, l’armonia e la sintesi fra l’ umano e il divino, con un “più” e cioè che questa sintesi ha la dimostrazione Mons. Agresti 1provabile nell’ umano, nel visibile, nell’ esteriore e nella relazione. Amava dire: “ Quando siamo incapaci di raggiungere questa composizione, praticamente veliamo il volto di Gesù, anche se lo conclamiamo con le parole”. Era il frutto della sua contemplazione del Verbo fatto carne. Ecco perché, nel fondare a Firenze la nostra Comunità di laici, nel clima incandescente del Vaticano II, voleva vedere se dentro questo mondo poteva risplendere il più possibile l’ immagine dell’ amore, che è l’ immagine di Dio.

Dal cuore di questo mistero mirabile nasce la sua “spiritualità dell’ essere”. Diceva: “ Sempre più la Chiesa attende la manifestazione dell’ essere cristiano nella città secolare”. Dentro il mondo. E ancora: “ Quel che si è e non quel che si fa è ciò che conta “. Arduo da dirsi quando, nei nostri ambienti, spesso il fare prende la mano all’ essere. Con senso profetico, di cui si vedrà la portata nel futuro, ci ha insegnato e testimoniato l’ itinerario della riunificazione, il senso dell’ “Uno”, cioè il ricondurre tutto l’ essere nostro all’ unità nella persona dove corpo, psiche, anima, e spirito sono ricongiunti armoniosamente sotto il dominio di Dio. Precisava: “Dove tutto è “uno” non c’ è malattia”. Ecco perché temeva per i giovani una formazione spiritualista che frantuma l’ uomo, e lo spiegava: “ Dio risplende in noi in proporzione che tutte le parti del nostro essere risuonano dell’ immagine di Lui e la santità è l’ arrivo, per grazia, da una lunga paziente fatica di ricostituzione dell’ unità originaria “.

Non un discorso sulle nuvole, ma nel realismo concreto della nostra vita, quindi in una storia, con una cultura e nella comunità, dove Dio ci ha messo per fare questa ricomposizione. L’ unità è dono di Dio ed è Lui che ne conduce il cammino. Allora a noi è chiesto – sono parole sue – la disponibilità passiva all’ operazione unificante dello Spirito santo, è chiesta la liberazione da noi stessi, con gli strumenti di Dio: la Parola, come manna vivificante; la penitenza, come esperienza di liberazione; l’ Eucarestia, che raccoglie l’ uomo nella carità e lo ri-cementa nell’ amore; la preghiera per l’ “uno”, come Gesù ne parla nel capitolo 17 di Giovanni: “ affinché siate perfetti nell’ unità”.

Come pastore della Chiesa e Padre non ha  mai perso questa visione del cerchio che riunifica. La preghiera illuminata deve avere presente questa richiesta: che noi siamo “uno”, dentro noi stessi e, fuori di noi, con tutti. La sua morte luminosa ha celebrato questa stupenda ricomposizione nell’ Uno di tutta la sua persona.

Nel mistero del Verbo incarnato e redentore, crocefisso per amore, morto e risorto,  teneva fisso lo sguardo sul mistero della Resurrezione, che alimentò sempre la sua fonda spiritualità e che fecedi lui una persona festiva, domenicale. Non sopportava la pietà malinconica che ferma il cristiano al venerdì santo e ci indicava, con esultanza, la gioia senza fine del Sabato santo. Così percorse tutto l’ itinerario del collegamento fra la gioia e la croce, con i piedi fermati sullo spalto soleggiato della speranza, testimoniando – e Dio voglia che non lo dimentichiamo – che “l’atteggiamento del cristiano è credere e sperare, perché i conti sono del futuro, il futuro è della promessa, e l’adempimento della promessa è Dio, a cui si risponde noi”.

Tanto ciò era vero che, nel suo libro “ Teologia della gioia “, scriveva: “ Essere cristiano non è altra cosa che morire perché Cristo viva. Ma è morire di gioia, perché è morire d’ amore”. In questo senso si portava a spasso per le strade della terra le sue sante allegrezze, anche sotto il fardello delle croci più dure, come un nomade di Dio “ senza casa “ perché la sua casa era quella del Padre, un “ senza luogo” perché il suo luogo era Dio. Ecco le radici cristiane e francescane del suo essere un povero per amore, povero di sé e delle cose, che va cantando quaggiù il canto dei liberati da ogni idolo e da ogni potere e il canto dei liberanti.

Figlio fedelissimo della Chiesa, l’ amò e la proclamò tenacemente, amandone le meraviglie, le ferite e le rughe. Dopo il Cristo la sua Chiesa. E’ nella Chiesa che Gesù Cristo ha creato in se stesso un solo “ uomo nuovo”, ripeteva con chiara fermezza. E nella Chiesa vi stava dentro con pace regale, con signoria dello spirito e della mente, senza presumere mai, consapevole, con una immane capacità di perdere, che la fedeltà al disegno di salvezza chiede un amore che sa portare molte prove, oscurità e non sensi. Ma per il pellegrino di Dio la luce sopravanza le tenebre e la gioia il dolore. Chi lo incontrava per la prima volta diceva: “ E’ una montagna”. E’ vero, ma la montagna donava a tutti la fortezza di una fede robusta che apriva la strada verso la piena maturità umana e cristiana. E ci sosteneva nel cammino con il miele della sua umanità tenerissima. Uomo della “ comunione e comunità”, dalla carità profonda, delicata, paziente e misericordiosa, che realizzava soprattutto come “ unanimità”, stava sempre dalla parte dei poveri perché sapeva che i poveri sono la scelta del Padre che è nei cieli. Era davvero una città senza mura, un fiume calmo e solenne alle cui sponde abbiamo trovato, in molti, lume, riposo, giustizia e pace.

La coerenza tenace delle idee, la felice coesione tra fede e vita, la sapienza del cuore, l’ ascesi del far posto agli altri, che è l’ arte del “ non esserci “ perché l’ altro “ sia “, l’ attingeva dalla preghiera continua, che ha permeato ogni sua azione. Ci esortava a diventare contemplativi sulle strade, in un dialogo ininterrotto con Dio e con gli uomini, affinché il “ noi “ della comunione avesse l’ ampiezza dell’ intero universo. “ Attingere la preghiera dalla vita e portare la preghiera nella vita “ era il suo assioma. Per questo la sua esistenza è stata tutto un dono e il suo fiat ultimo l’ estrema pacificata consegna di sé all’ Amore, nella gratitudine. Mentre si avvicinava alla “ sua ora “, alle soglie del grande definitivo incontro e del coronamento della sua fede, non parlava che della gloria cui siamo destinati.

Chiudo queste povere righe con le parole che egli ci disse un giorno lontano, in un ritiro sulla “Gloria di Dio”: “ E’ arduo vedere la gloria in un volto sfigurato, in un corpo pestato, in una persona derisa, in un capo coronato di spine. Ma quello è il suo momento di gloria più alto”. Così è stato per lui. Così sia per ognuno di noi che lo abbiamo amato.

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